mercoledì 4 marzo 2015

Banksy e la rigenerazione della cultura alternativa


L’ “Assange della street art”, o l’ “Anonymous dei graffiti”, 
è molto più di un mero mito commerciale. 
La street art sta sempre più ridefinendo un’area espressiva 
estranea al mercato e imprevedibile nelle forme e nei contenuti.
 Le tecnologie a basso costo e le altre discipline controculturali
(parkour, skateboard, videomaking, web) 
rendono la strada un territorio cangiante, attraente,
 a disposizione di chiunque voglia provare…
La Strada di Federico Fellini è animata da saltimbanchi 
e personaggi circensi. Ẻ un luogo simbolico fatto di maschere e
 metafore della condizione umana, di destini che si incontrano e 
di relazioni che si evolvono.  Il tessuto urbano, 
come un percorso felliniano,
 è sempre stato oggetto di visioni artistiche,
 movimenti estranei alle correnti preimposte, 
divenendo terreno fertile per ribellioni più o meno autentiche,
 per lo sviluppo di una controcultura e
 per una moltitudine di altre condizioni umane non convenzionali.
La strada è un luogo di passaggio pubblico,
 dove chiunque può lasciare il proprio segno,
 dalle semplici scritte di protesta – 
che potrebbero formare un archivio dei malesseri cittadini inespressi
 – a quelle meglio identificabili come arte o dissensi, tramite forme più propriamente artistiche.
 Determinate pratiche si confondono spesso con atti vandalici,
 sfuggendo alle facili categorizzazioni e
 non riuscendo a venir inserite nelle classificazioni d’arte tout court.
Portare queste forme di libera creatività nelle strade,
 significa renderle più accessibili,
 ristabilendo un principio democratico di fruizione
 e permettendo un dialogo all’interno dello spazio pubblico,
 in grado di favorire un’interazione stratificata.
L’arte urbana è un fenomeno che si sta iconicizzando, 
in una diffusione virale e spaziale
 che permea le strutture architettoniche, contaminandone l’aspetto.
Banksy, il famoso (anche se anonimo) writer inglese,
 ha recentemente pubblicato un video
 – girato in occasione della sua “residenza newyorkese”
 dello scorso ottobre – 
 in cui mostra la vendita di alcune sue opere a 60 dollari al pezzo 
su una bancarella in Central Park,
 rimettendo in discussione non solo le logiche del mercato dell’arte,
 ma anche  il fenomeno sociologico del brand.
L’azione, volutamente provocatoria,
 scaturisce alcune considerazioni 
attorno alla stessa natura del writing: 
esso nasce come forma d’arte sovversiva,
 riprendendo spesso formalismi pop,
 legati alla cultura di massa, 
cercando di ribaltare la prassi di output
 socio-economico dell’arte contemporanea,
 attaccando il sistema capitalista che,
 a sua volta, cerca in tutti i modi di rendere vacue
 queste manifestazioni, 
spirandone la carica eversiva e riproducendone le forme superficiali.
 Finirne fagocitati è un rischio sempre più concreto.
 Nelle sue espressioni più genuine e
 meno intaccate dalle convenzioni commerciali, 
l’arte urbana può simboleggiare la volontà di riappropriazione
 dello spazio condiviso, riqualificando il significato
 della comunità stessa in cui opera.
Blu, uno dei writer italiani più conosciuti al mondo, 
si spinge ad affermare che “Non esistono né graffiti né street art, 
esistono l’arte pubblica e le persone che la fanno”,
 conferendo maggiormente alla pratica eversiva quell’aspetto
 di socialità e di partecipazione collettiva
 che va oltre la trasgressione del gesto.
Ciò che è più rivoluzionario ed imprevedibile di questa rigenerazione
 della cultura alternativa
 è la capacità di aver rieducato le nostre abitudini visive,
 sprigionando tutto il fascino di questo potere liberatorio.
 L’eterogeneità riversata per le strade delle città apre le porte
 ad un nuovo mondo espressivo low tech o lo-fi,
 che proprio di questa caratteristica fa la sue virtù.
“Le nostre esperienze visive sono sempre più universali 
delle circostanze” direbbe John Berger,
 in quanto l’atto di guardare e la facoltà di saperlo fare 
sono strettamente connessi con il nostro vivere quotidiano 
e i nostri mutamenti storici, così come con le strade
 che percorriamo tutti i giorni.
Francesca Biagini


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