giovedì 20 febbraio 2014

ENZO CUCCHI | COSMOGONIA


Enzp Cucchi, Cosmogonia III, 2013, arazzo, cuciture in cotone e lana, tasca in cotone, quadricromia su canvas hahnemuhle. Courtesy Galleria Poggiali e ForconiEnzo Cucchi, l’uomo e l’artista: l’universo personale di un sognatore.
Firenze, Galleria Poggiali e Forconi, Via della Scala, 35/A – Project Room Via Benedetta, 3r, dal 23.11.2013 al 15.02.2014
“Mi sembra che l’essere umano sia stato creato per vivere. Vivere nel cammino verso la verità. Ecco perché l’uomo crea. In una certa misura l’uomo crea nel cammino verso la verità. Questo è il suo modo di esistere, e l’interrogativo sulla creazione (‘Per chi gli uomini creano? Perché essi creano?’) è senza risposta. Effettivamente ogni artista non soltanto ha una sua concezione sulla creazione ma ha anche un suo modo personale di interrogarsi su ciò.”  (Andrei Arsenyevich Tarkovsky )
Enzo Cucchi, Trittico, 2013, litografia disegnata su pietra da Enzo Cucchi su carta JaponBunkoshi. Tiratura in 30 esemplari. Particolare. Courtesy Galleria Poggiali e Forconi.La galleria Poggiali e Forconi presenta un progetto inedito di Enzo Cucchi (Morro d’Alba Ancona, 1949) in cui, tra materiali inusuali e medium eterogenei, crea un percorso attraverso i misteri del cosmo e della realtà in un immaginario onirico e atavico.
Il termine cosmogonia significa origine dell’universo. Le società si sono sviluppate all’interno di culture in cui idee e concetti si formarono partendo dal rapporto con il mito come primordiale fonte di conoscenza dell’esistente e di cui l’uomo ha sempre subito la fascinazione e l’influenza.
Cosmogonie, tre grandi arazzi circolari, una speciale tela ricoperta con inchiostro opaco, tela di lino Canvas  Hahnemüehle, sulla quale si visualizzano ricami ed elementi tessili in lana, seta e cotone, ci trasporta all’interno di un mondo creato dal nostro sguardo che si muove sugli inserti materici, creando galassie inesistenti, tra cui spuntano figure zoomorfe come simbologie totemiche.
Enzo Cucchi, Prisca, 2012, litografia disegnata su pietra da Enzo Cucchi composta da 3 cubi. Tiratura in 30 esemplari + 3 A.P. Particolare. Courtesy Galleria Poggiali e ForconiTrittico è un opera composta da tre litografie disegnate su pietra, con tre semisfere di carta japon su cui sono raffigurati tre gatti che collegati tra loro assumono la forma di costellazioni o atomi, grazie ai quali si risolvono le dicotomie essenziali nelle infinite combinazioni del caso.
In Prisca: tre litografie cubiche, troviamo disegni originali su ogni lato dei cubi che figurano come giochi misteriosi, avvolti in un’oscillazione continua tra mito e realtà, come un’analisi del nostro inconscio, per rivelare un linguaggio dimenticato, reso manifesto da archetipi costanti. Queste sono solo alcune delle opere che scorgiamo all’interno di in un excursus fatto di molteplici stimoli visivi e immaginativi.
Enzo Cucchi, Cosmogonia, Installation view, Senza titolo (Cattedrale), 2009, bronzo. Courtesy Galleria Poggiali e ForconiCome un mistero inesplicabile, un Solaris, ci si lascia sedurre dal desiderio di trovare una spiegazione a queste simbologie primordiali, per dare una prova ontologica alle nostre domande che rimangono un arcano di fronte al titano immobile che richiede rassegnazione o accettazione.
 “… Ma persistevo nella fede irremovibile che l’epoca dei miracoli crudeli non fosse ancora finita”.  Da Solaris(Stanisław Lem)
Francesca Biagini

lunedì 25 novembre 2013

BRUNO DI MARINO | HARD MEDIA. LA PORNOGRAFIA NELLE ARTI VISIVE, NEL CINEMA E NEL WEB


Big Welcome,courtesy of Bruno di Marino
La terza stagione di Scripta l’arte a parole, ciclo di presentazioni con autori e curatori di edizioni sulla critica d’arte contemporanea a cura di Pietro Gaglianò presso la libreria Brac di Firenze, si apre con il libro Hard Media. La pornografia nelle arti visive, nel cinema e nel web di Bruno Di MarinoJohan & Levi Editore, 2013.
Nella storia dell’arte si è soliti associare al concetto di bellezza (intesa in senso estetico) anche un alto valore morale. Le avanguardie del Novecento hanno scardinato questi postulati ponendo le basi per quella che è stata “la rottura dell’alleanza tra estetica e morale” – citando Arthur DantoThe Abuse of Beauty. Analizzare la pornografia come categoria estetica e non solo come fenomeno sociale, ci pone di fronte ad una problematica storicizzata nel tempo, ma ancora ricca di interessanti spunti di riflessione.
Mama und Papa,courtesy of Bruno di MarinoIl corpo, spesso al centro di pratiche artistiche, è un elemento che genera disagio nell’essere osservato, che può ancora essere veicolo di infrazione e violazione dello stesso e della nostra percezione. Bruno Di Marinotraccia un excursus sull’osceno nell’arte contemporanea partendo da L’origine du monde  di  Gustave Courbet, tela che rimase per anni clandestina, celata da coloro che la possedevano, tra cui Jacques Lacan che la fece coprire mostrandola solo ad un selezionatissimo pubblico, perché capace di generare scandalo. Lo scandalo è  il “turbamento della coscienza collettiva provocato da una vicenda, da un atteggiamento o da un discorso che offende i principi morali correnti”, ed ecco che ci riconduciamo verso la chimera della morale. Nonostante la pornografia sia stata capace di abbattere determinati tabù e di farsi accogliere da un pubblico sempre più elevato che comprende anche un rilevante numero di donne,  continua a possedere una forte pulsione attrattiva per quanto riguarda le sue capacità trasgressive. Il porno, grazie a questa carica eversiva, ha contaminato molti altri settori, dall’arte, al cinema alla letteratura.
Shame, courtesy of Bruno di marinoNegli anni ‘70 la pornografia è riuscita, da Deep Throat, a farsi portavoce di nuove correnti intellettuali rivoluzionarie, ponendosi come fenomeno di liberazione sessuale e contribuendo ad una nuova consapevolezza del corpo (proprio e non) e di conseguenza a riformulare anche standardizzati concetti di identità. Artiste di ogni tipo fin dagli anni ‘60 hanno scandagliato le coabitazioni dell’identità prelevando elementi complessi dall’immaginario pornografico, dissacrando e frammentando quello scomodo bagaglio semantico che è il nostro corpo, generatore di tensioni tra l’io e l’esterno, tra il privato e il pubblico, arrivando alla stessa auto-violazione. Si va assottigliando sempre di più la linea di demarcazione – peraltro mai stata molto netta – tra pornografia ed erotismo, e le ibridazioni tra video hard e video arte.
La pornografia negli ultimi decenni ha però visto man mano affievolire la propria carica rivoluzionaria e anticonformista a causa di un progressivo processo di assimilazione del porno nei linguaggi contemporanei e nella società, che, se da una parte ha determinato lo scioglimento delle ultime ineluttabili inibizioni, dall’altra ha prodotto nuove forme di conformismo consumista, di spettacolarizzazione dell’hard.
CookforTwo, courtesy of Bruno di MarinoIl reality show, partendo da “Il grande fratello”, in qualche modo riproduce gli schemi della filmografia porno amatoriale, che, da un punto di vista economico ma anche sociale, ha logorato il mercato, influenzandone il dualismo di produzione e consumo (i film porno professionali imitano la messa in scena “fai da te”), riproponendo lo schema voyeuristico da peep show della telecamera/terzo incomodo, in bilico tra fiction e realtà che rappresenta l’era del pop porno. Il reality show diventa sintomatico del livello di consunzione di questo genere nel linguaggio contemporaneo, nella dimostrata bramosia che il pubblico dimostra nell’attendere che i concorrenti consumino all’interno della casa, che si nascondano dietro a filtri proprio nel luogo per antonomasia dove niente può essere nascosto, mostrando il nulla che il sesso è finito per diventare. Il mondo del web – e di Youporn in particolare – hanno rivoluzionato il cosmo della pornografia rendendo reali gli atti sessuali solo in relazione alla loro messa in scena nella realtà o nella finzione alla presenza dell’occhio acceso della registrazione.
Affascinate è il parallelismo che si propone tra il sesso, l’orgasmo , “la petit mort” e il cinema, “la morte al lavoro” secondo la definizione di Jean Cocteau, conducendoci verso un’acuta analisi di quella che potrebbe essere un effigie dei nostri tempi, un “memento mori/godi”.
Un buon numero di femministe ha spesso militato a gran voce contro la pornografia come deleteria per l’immaginario femminile, lesiva della dignità della donna, muovendosi in direzioni pro-censura. Come più volte “historia magistra vitae”, la censura non solo è deleteria per ciò che è più importante proteggere cioè la libertà di espressione e di pensiero, ma crea in realtà gli effetti opposti rispetto a quelli desiderati, diventando un paradosso difensivo piuttosto sterile.
Francesca Biagini

ROBERTO PUGLIESE | EMERGENZE ACUSTICHE


Roberto Pugliese, Emergenze Acustiche, 2013, Tenuta dello Scompiglio. Foto Guido Mencari - Courtesy Associazione Culturale Dello ScompiglioVorno, Capannori (LU), SPE Spazio Performatico ed Espositivo -  Tenuta Dello Scompiglio, via di Vorno 67, fino al 19.01.2014
A cura di Angel Moya Garcia
Emergenze acustiche è il nome dell’installazione sonora che Roberto Pugliese (Napoli,1982) presenta nelloSpazio Performatico ed Espositivo della Tenuta Dello Scompiglio.
L’installazione è composta da 80 tubi cilindrici in plexiglass contenenti speakers di diverse dimensioni che si calano dal soffitto, producendo un effetto a cassa di risonanza. La composizione acustica, che si diffonde in tutto lo spazio espositivo, è generata da un software all’interno del quale vengono inseriti dati numerici derivati dalle varie attività, come gli esercizi culturali e didattici, o l’energia rilasciata dall’orto biodinamico e la cucina.
Roberto Pugliese, Emergenze Acustiche, 2013, Tenuta dello Scompiglio. Foto Guido Mencari. Courtesy Associazione Culturale Dello ScompiglioL’opera agisce su sistemi di interazione che vanno generandosi in base alle scelte degli spettatori, invitati a modulare un percorso personale in base ai propri istinti percettivi. Ciò permette di dare una conformazione organica di volta in volta nuova all’ambiente, e il visitatore, inseguendo un’inafferrabile entità, non vive più l’esperienza artistica come agente passivo, ma come forza generativa. In un discorso più ampio, le pratiche artistiche che hanno come studio la percezione dello spazio mediante l’udito, si prestano a una maggiore interdisciplinarità, spesso applicabile anche a determinate prese di coscienza nei confronti di uno spazio sia urbano che non (come nel caso dello SPE), fino ad arrivare a una pratica di vera e propria architettura sensoriale, in grado di rivelare cosa la musica e il suono possono dirci dell’ambiente che “abitiamo”.
Roberto Pugliese, Emergenze Acustiche, 2013, Tenuta dello Scompiglio. Foto Guido Mencari. Courtesy Associazione Culturale Dello Scompiglio.L’indagine delle relazioni che si intessono tra spazio, suono e osservatore, trova i presupposti in una realtà che viene generata nelle complesse relazioni tra vari componenti: punto di partenza, in quest’ottica, è laTeoria generale dei sistemi di Ludwig von Bertalanffyche definisce le possibilità di influenza e scambio tra gli elementi come condizione necessaria per stabilire un sistema e il suo mantenimento.
I dati delle attività che diventano suoni non solo presentano una tecnologia organica che si fa quasi emozionale, ma ritornano nello spazio, portando consé una ineluttabile parte del mondo esterno.
Roberto Pugliese, Emergenze Acustiche, 2013, Tenuta dello Scompiglio. Foto Guido Mencari, Courtesy Associazione Culturale Dello ScompiglioI suoni elettroacustici rientrano in una particolare categoria musicale, che permette di tracciare una linea temporale sui nuovi sviluppi tecnologici e sui nuovi materiali,  in quello che potrebbe essere definito il “momento tecnologico dell’arte”. Agostino di Scipio inPensare la tecnologia del suono e della musica scrive: «Nell’esperienza creativa [....] colui che agisce è definito dai suoi mezzi di azione nella misura in cui l’opera che risulta dal suo agire restituisce all’ascolto l’esperienza di quei mezzi».
L’arte contemporanea sta spostando sempre più la propria attenzione verso le relazioni umane e le relazioni tra individui, in cui l’interattività tra osservatore e artista gioca un ruolo preponderante proprio in quello “spazio” che spesso sfugge all’artista stesso, o che non era sua intenzione significare. In questo caso, la tecnologia utilizzata è capace di alterare i sensi e le percezioni emotive, restituendo una maggiore consapevolezza tra individualità corporea e necessità di relazionarsi con l’esterno.
Cercando di coinvolgere il pubblico, viene focalizzata l’attenzione sulle possibilità di analisi critica e interpretativa, in cui l’interrelazione si rivela obiettivo finale dell’opera. L’indagine del luogo permette di abbassare il livello di influenza dell’artista, per procedere alla restituzione di una realtà traslata, che il pubblico può decidere di manipolare o semplicemente fruire.
Francesca Biagini

venerdì 11 ottobre 2013

HENRI CARTIER BRESSON. PHOTOGRAPHER


La fotografia sceglie il momento in cui il caos del reale si mette in ordine, in cui il ritmo della danza cosmica si costituisce e prende corpo di fronte alla macchina fotografica, diventa inquadratura e composizione. È come se il fotografo facesse parte di un rituale sacro che si palesa di fronte ai suoi occhi e di cui lui è parte integrante. Viaggiando per il mondo e fotografando città, luoghi, personaggi famosi deve solo stare attento a non  interferire nel vissuto, non disturbare lo scenario di cui vuole impossessarsi, essere occhio discreto di fronte alla vita.
Romania, 1975 (c) Henri Cartier-Bresson-Magnum Photos
Henri Cartier Bresson  (1908 – 2004) raccontato daHenri Cartier Bresson. Questi scatti, la cui selezione diventa opera ed esposizione allo stesso tempo, ci permettono, attraverso l’ occhio del fotografo, di vedere il mondo esterno e il suo io. Un’antologia in 133 foto scelte dall’autore per la sua monografia che qui diventa mostra.
In Bruxelles, 1932, due uomini sbirciano, tra gli interstizi di un telo ciò che noi possiamo solo provare a immaginare, cercando di non farsi scoprire. Due uomini che sbirciano da un foro, cosa c’è di più ontologico parlando di fotografia se non un’immagine che mostra la visione con queste sfaccettature,  il piacere del vedere, la volontà di impadronirsi di un qualcosa tramite la vista, il voyeur per antonomasia.
Quando si parla di Bresson  non si può non parlare dei suoi “momenti decisivi”, gli attimi fuggenti di quella vita vera che si manifesta nella sua durata. L’attesa è un elemento che lo contraddistingue, quella virtù della pazienza di saper aspettare ciò che prima o poi succederà qualcosa che attrarrà il suo click, l’istante del flusso del reale, del monotono continuum esistenziale che genererà sorpresa e che ci allontanerà dal banale.
Behind the Gare Saint-Lazare, Paris, 1932 (c) Henri Cartier-Bresson-Magnum Photos
Il suo debito con la pittura è spesso evidente, fotografie che diventano dipinti, che somigliano a dipinti o che sono dipinti stessi rintracciabili nella realtà. D’altronde Bresson lavora con Jean Renoir,  regista francese figlio del famoso pittore impressionista, e non possiamo non accostare il movimento del cinema al dinamismo fotografico di Bresson.
L’insieme delle combinazioni possibili è il nostro caso e il nostro susseguirsi dei fenomeni definisce ciò che caso e coincidenza significhino, come se segni o segnali di un mutamento si rendessero manifesti. Possedendo una sorta di primordiale istinto animale, Henri Cartier Bresson riesce a carpire il momento decisivo in cui ci sarà un mutamento dei fenomeni di continuità.
Gli eventi storici sono rappresentati in modo atipico, non vediamo la storia così come siamo abituati, con “il fatto-l’accaduto” ben  in evidenza di fronte ai nostri occhi, ma l’accadimento è intuito, percepito attraverso gli occhi degli astanti; vediamo le reazioni, i fremiti, gli sguardi, le lacrime, che ci restituiscono un sapore della storia ben più vicino alla realtà. Si potrebbe semplicemente studiare la storia dalle sue foto o raccontare, tramite esse, nuove versioni di quella che si è soliti leggere sui libri.
Cremation of Gandhi ci mostra una folla quasi indistinta che si muove, si calpesta pur di vedere, e persone che si sono arrampicate su un albero isolato sotto il flusso della massa, per riuscire ad avere una migliore prospettiva di quel fuoco che noi intuiamo, ma non vediamo.
Non è forse anche questa tutta una storia di sguardi, di attimi e punti di vista?
Francesca Biagini

venerdì 20 settembre 2013

Il limite
Starsene qui nelle stagioni che mutano
è la norma comune: il dono estremo e l'uscita.
A chi varcò la soglia non è dato tornare:
solo forse nel sogno dice parole slegate
troppo simili a queste dei nostri percorsi.
E seguitiamo a sorti, a volte sorpresi,
ogni attesa è un gioco,
ogni dubbio l'incaglio di una deriva,
e diamo numeri ai giorni,
piedi alle voglie,
confini al vagare
- sforniti di mappe, ignari del porto.

Elio Pecora

Thomas Ruff

mercoledì 4 settembre 2013

Felice chi è diverso 



Felice chi è diverso
essendo egli diverso.
Ma guai a chi è diverso
essendo egli comune.


Sandro Penna 


Kader Attia

lunedì 2 settembre 2013

DANH VO | FABOLOUS MUSCLES

Danh Vo, Fabulous Muscles, Museion, 2013, exhibition view, In primo piano/Vg/Front: “We the people” © Danh Vo, courtesy Galerie Chantal Crousel. Foto Othmar Seehauser
Al quarto piano del Museion di Bolzano assistiamo ad una scena apocalittica, lo smembramento di un corpo, le cui parti giacciono a terra scomposte, lucenti, frammentate. E’ il corpo di Lady Liberty, la colossale statua della libertà che illumina il mondo, regalata dal popolo francese agli stati uniti nel 1886 e progettata dai francesi Frédéric Auguste Bartholdi e Gustave Eiffel.
In rame, eseguita con la tecnica dello sbalzo, viene smontata e spedita in casse via mare, per diventare il simbolo di benvenuto e di speranza verso tutto il mondo.
Era veramente un benvenuto? O forse era il simbolo di un qualcosa che andava al di là dell’American Dream e rappresentava i cambiamenti economici in corso, la nascita del capitalismo? Era forse l’inizio della retorica dell’esportazione della democrazia?
Danh Vo (Vietnam,1975) ricostruisce la monumentale opera in scala 1:1 con la medesima tecnica dell’originale, smembrando il simbolo della libertà apre una riflessione e un dialogo su cosa essa significhi e se vi sia un giusto senso per definirla. L’artista sceglie la Statua Della Libertà, dono francese a quell’America che insieme a lei sarà coinvolta nel conflitto Vietnamita, ponendo quindi l’accento sulle contraddizioni tipiche dei paesi colonizzatori.
Di merci e frammenti si parla, di approdi continui, di pellegrinaggi umani, testimoniati dalle varie cassette di cartone, disposte nelle teche come vestige di naufraghi, scatole di Budweiser ed Evian che riportano al loro interno l’indirizzo del mittente aprendo un’ulteriore capitolo su globalizzazione e neocolonialismo.
Frammenti di un’idea, di una realtà così fragile, di una pluralità di sguardi, che sono anche quelli di chi si accinge a osservare e a interpretare ogni volta le opere dell’artista. Parafrasando una nota canzone, “libertà è partecipazione”, avvicinarsi al progetto di un artista e osservare una mostra, ci consente di dare alla propria mente la possibilità di formare nuove opinioni, di interrogarsi, di chiedersi perché. I frammenti del corpo della statua sono volutamente collocati nello splendido spazio del museo, capovolti e in un ordine non facilmente identificabile, proprio per lasciare più libero possibile colui che guarda, in modo che la ricostruzione-interpretazione, percorra un processo ogni volta personale e unico.
Danh Vo, Fabulous Muscles, Museion, 2013, exhibition view, In primo piano/Vg/Front: “We the people” © Danh Vo, courtesy Galerie Chantal Crousel. Foto Othmar Seehauser
Frammenti di un corpo, una materia senza vita, fatta di tecnologia umana, ma la cui esistenza ha grande valore. Frammenti di libertà che si librano nella contemporaneità, come i corpi degli indiani accusati di sodomia, che il capitano spagnolo Valboa fa sbranare dai cani e lo smembramento di un prigioniero in un atto di cannibalismo tra indiani brasiliani che possiamo vedere nelle incisioni di fine 500; distruzioni di altri corpi, prova dell’alienazione di altrui libertà che l’artista sceglie di inserire nel suo percorso.
Danh Vo dichiara di non voler spiegare la sua opera, lo spettatore ogni volta dovrà trovare la chiave d’accesso e interpretare ciò che vede in relazione anche al proprio vissuto; allo stesso tempo ci dà tutta una serie di indicazioni, di spunti e di letture che ci possono orientare, ma mai condizionare. Al fine di comprendere i molteplici aspetti del così complesso concetto di libertà, l’artista inserisce due excursus letterari: il primo è “Au Bonheur des Dames” 1883 di Émile Zola in cui si descrive il grande magazzino parigino Au Bon Marchèe le trasformazioni sociali che da esso derivano.
Ponendo le premesse per la nascita del moderno concetto di consumismo, si inserisce per la prima volta il concetto di democratizzazione del lusso, la nascita di un tipo di consumo che non è più necessario, ma volto a soddisfare ed estinguersi solo in se stesso, in cui pubblicità e attuali strategie di marketing, giocano un ruolo fondante. Con il consumismo, anche il nostro corpo o il modo di percepirlo cambia, si frantuma in taglie standardizzate.
Danh Vo, Fabulous Muscles, Museion, 2013, exhibition view, In primo piano/Vg/Front: “We the people” © Danh Vo, courtesy Galerie Chantal Crousel. Foto Othmar SeehauserL’altro testo è “Eupalinos ou l’Architecte” di Paul Valèry in cui assistiamo a un dialogo tra Socrate e il suo discepolo Fedro a proposito di Eupalino di Megara, celebre architetto, e i rapporti tra arte e filosofia, partendo da un aneddoto che il filosofo racconta sul ritrovamento di un oggetto ambiguo, che, nell’incapacità di riuscire a definirne la natura, decide di rigettare in mare… ”Nello stupore per la fatticità del mondo la coscienza coglie la propria libertà”.
 Nella mostra Bolzanina, l’artista ha anche inserito un insieme di elementi sacri, da un altare scomposto e come casualmente appoggiato ad una parete, a parti di un Cristo crocefisso, che si adagiano o sembrano integrati nei frammenti della grande statua. Ancora un’ulteriore scissione, quella lotta eterna tra uomo e religione, bisogno e conflitto, che accompagna l’errare umano.
Da Lady Liberty al Cristo in croce simboli di quanto complesso possa essere il nostro definirci uomini liberi.