venerdì 11 ottobre 2013

HENRI CARTIER BRESSON. PHOTOGRAPHER


La fotografia sceglie il momento in cui il caos del reale si mette in ordine, in cui il ritmo della danza cosmica si costituisce e prende corpo di fronte alla macchina fotografica, diventa inquadratura e composizione. È come se il fotografo facesse parte di un rituale sacro che si palesa di fronte ai suoi occhi e di cui lui è parte integrante. Viaggiando per il mondo e fotografando città, luoghi, personaggi famosi deve solo stare attento a non  interferire nel vissuto, non disturbare lo scenario di cui vuole impossessarsi, essere occhio discreto di fronte alla vita.
Romania, 1975 (c) Henri Cartier-Bresson-Magnum Photos
Henri Cartier Bresson  (1908 – 2004) raccontato daHenri Cartier Bresson. Questi scatti, la cui selezione diventa opera ed esposizione allo stesso tempo, ci permettono, attraverso l’ occhio del fotografo, di vedere il mondo esterno e il suo io. Un’antologia in 133 foto scelte dall’autore per la sua monografia che qui diventa mostra.
In Bruxelles, 1932, due uomini sbirciano, tra gli interstizi di un telo ciò che noi possiamo solo provare a immaginare, cercando di non farsi scoprire. Due uomini che sbirciano da un foro, cosa c’è di più ontologico parlando di fotografia se non un’immagine che mostra la visione con queste sfaccettature,  il piacere del vedere, la volontà di impadronirsi di un qualcosa tramite la vista, il voyeur per antonomasia.
Quando si parla di Bresson  non si può non parlare dei suoi “momenti decisivi”, gli attimi fuggenti di quella vita vera che si manifesta nella sua durata. L’attesa è un elemento che lo contraddistingue, quella virtù della pazienza di saper aspettare ciò che prima o poi succederà qualcosa che attrarrà il suo click, l’istante del flusso del reale, del monotono continuum esistenziale che genererà sorpresa e che ci allontanerà dal banale.
Behind the Gare Saint-Lazare, Paris, 1932 (c) Henri Cartier-Bresson-Magnum Photos
Il suo debito con la pittura è spesso evidente, fotografie che diventano dipinti, che somigliano a dipinti o che sono dipinti stessi rintracciabili nella realtà. D’altronde Bresson lavora con Jean Renoir,  regista francese figlio del famoso pittore impressionista, e non possiamo non accostare il movimento del cinema al dinamismo fotografico di Bresson.
L’insieme delle combinazioni possibili è il nostro caso e il nostro susseguirsi dei fenomeni definisce ciò che caso e coincidenza significhino, come se segni o segnali di un mutamento si rendessero manifesti. Possedendo una sorta di primordiale istinto animale, Henri Cartier Bresson riesce a carpire il momento decisivo in cui ci sarà un mutamento dei fenomeni di continuità.
Gli eventi storici sono rappresentati in modo atipico, non vediamo la storia così come siamo abituati, con “il fatto-l’accaduto” ben  in evidenza di fronte ai nostri occhi, ma l’accadimento è intuito, percepito attraverso gli occhi degli astanti; vediamo le reazioni, i fremiti, gli sguardi, le lacrime, che ci restituiscono un sapore della storia ben più vicino alla realtà. Si potrebbe semplicemente studiare la storia dalle sue foto o raccontare, tramite esse, nuove versioni di quella che si è soliti leggere sui libri.
Cremation of Gandhi ci mostra una folla quasi indistinta che si muove, si calpesta pur di vedere, e persone che si sono arrampicate su un albero isolato sotto il flusso della massa, per riuscire ad avere una migliore prospettiva di quel fuoco che noi intuiamo, ma non vediamo.
Non è forse anche questa tutta una storia di sguardi, di attimi e punti di vista?
Francesca Biagini

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