VIRGINIA ZANETTI | IL CORPO CHIEDE
Il terzo appuntamento di “PIECE-Percorsi della performance” si apre con Il corpo chiede di Virginia Zanetti, in cui la reciprocità tra performer e pubblico permette di raggiungere una nuova consapevolezza tramite un’esperienza estatica ed estetica al tempo stesso.
PIECE Percorsi della Performance, Scandicci (FI), Teatro Studio Krypton, Via G.Donizetti 58.
A cura di Pietro Gaglianò / Direzione artistica di Giancarlo Cauteruccio
Nel film Rashomon un boscaiolo, un monaco e un passante ascoltano le testimonianze di quattro diversi personaggi sull’uccisione di un samurai. Ogni versione contrasta con le altre e la verità resta celata. Il film di Akira Kurosawa mette in luce come le testimonianze mutevoli siano tutte parte di una stessa condizione di non unicità del vero,una parabola della verità in cui menzogna e realtà si confondono, dimostrando come le percezioni del singolo e l’interazione con gli altri determino varie versioni di un unico avvenimento. Parzialmente vere e parzialmente false. Non vi è unicità nella verità, ma verità nell’unicità, che ogni singolo sperimenta in modo personale nella soggettiva esperienza con il contesto circostante.
La performance di Virginia Zanetti (Fiesole,1981) si pone come la seconda parte di uno studio sulla “non dualità” iniziata con il progetto-ricerca Studio primo per l’estasi nel paesaggio/Dispositivo a terra. Una performance partecipativa in cui gli spettatori si fondono con l’ambiente: in questo caso specifico è il pavimento del teatro a prestarsi come punto di fusione, ma anche le altre persone presenti e le luci, mettendo in scena una sorta di rituale panteistico, ricreando un flusso di relazioni, disponendo individui e oggetti personali come in un campo energetico, fino a stabilire un collegamento tra loro, tenendosi per mano o semplicemente sfiorandosi. L’influenza reciproca e fisica tra performer e spettatori permette la creazione di una forte connessione, un muto dialogo, un graduale processo di identificazione che porta all’immedesimazione delle sensazioni.
Riflettendo sul concetto di estasi, si crea un momento in cui ci si abbandona a ciò che sta intorno per unirsi in un’entità unica: il corpo e la sua percezione fanno parte della stessa vita cosmica, generando riflessioni complesse, in cui la trasformazione dell’io diventa l’unica via possibile per migliorare il contesto in cui viviamo, da cui non possiamo scinderci, rileggendo così la realtà secondo schemi in cui il particolare e l’universale sono strettamente connessi.
I sensi, protagonisti fondamentali di un percorso altamente percettivo, diventano ulteriore strumento di conoscenza da applicare alla tangibilità del presente, in modo materico, tattile, visivo,olfattivo, simbiotico.
La realtà cellulare del nostro corpo si amplifica in questa performance esperienziale, in cui si viene trafitti e trapassati da un sovraccarico sensoriale.
Se da una parte, a livello visivo, viene ricreato un paesaggio composto da radici umane che interagiscono, che si attorcigliano e si mischiano, dall’altra la visione che si crea sembra rappresentare la volontà di protesta, di contestazione e di riscatto che, placandosi al terreno, rimane inesorabilmente bloccata.
Francesca Biagini
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