“TRACKEDS” Firenze
“Infine
vorrei interrogarmi sull'idea di mobilità: una nozione estremamente complessa ,
in quanto nell'ambiente urbano non tutto
si muove ma al tempo stesso si muovono molte cose. Forse è proprio a questo
tipo di mobilità che dobbiamo pensare, se vogliamo evitare di subirla in modo
acritico”
Marco Augè
“Trackeds” è il progetto di BridA / Tom Kerševan, Jurij Pavlica, Sendi
Mango che ha come protagonista indiscussa la città: i suoi movimenti dinamici,
le sue strutture topografiche e la sua interazione con chi abita queste giungle
architettoniche.
Un
progetto costituito da più strati di informazione: un’immagine fotografica che
rappresenta uno spazio architettonico senza vita e una superficie dinamica
tracciata da un software di loro invenzione in grado di riconoscere la densità
dei movimenti di veicoli e persone, riproponendoli iconograficamente secondo un
preciso codice visivo e sonoro.
Il
lavoro presentato è un site specific sulla città di Firenze che si struttura
tramite una documentazione visiva dei topos cittadini la cui caratteristica
principale è l'iperdinamicità degli attraversamenti.
Le
entità che quotidianamente occupano questi spazi sono sublimate in un'equazione
non lineare accentuando le modalità e le interazioni del movimento.
Un
continuo work in progress nell'ambito del loro approccio all'indagine artistica
che coopera con la scienza insito nel loro lavoro.
Il
contatto con BridA inizia nel 2007
quando sono venuti a Scandicci a presentare il loro progetto “Modux” per
Culture Hunting, progetto di Scandicci Cultura e Ginger Zone per promuovere la
mobilità giovanile culturale.
A 5
anni dal loro intervento su Scandicci ,Brida torna in città con “Trackeds”, questa
volta nel capoluogo toscano con nuove tematiche da proporre.
I nostri percorsi si sono ricongiunti a distanza di anni, uniti dal
lavoro che entrambi portiamo avanti in cui il protagonista è l'ambiente urbano
e le trasformazioni che in esso avvengono.
Pamela Barberi
La
più importante creazione dell’uomo è la città , in quanto da esso creata a sua
immagine e somiglianza fino a diventare
esso stesso “homo urbanicus”. Osservando la nostra città in un momento di
rispecchiamento ontologico potremmo perciò chiederci: che tipo di persone
vogliamo essere?
L’uomo
non è indipendente dal suo essere determinato da altre forze quali la società,
l’eredità culturale e la propria storia. E’ capace di creare
rapporti complessi e trasparenti con il mondo che lo circonda. Il diritto
collettivo alla città è un concetto che non sempre ritorna nella consapevolezza
e nella sensibilità pubblica. Nei processi sempre più rapidi di urbanizzazione
messi in moto da forze preesistenti quali globalizzazione e capitalismo,si è
spesso trascurato di rivendicare una forma di potere decisionale collettivo. Le
città con il loro ritmo sempre più incalzante, a ogni attraversamento della
strada, a ogni input acustico stimolano le nostre percezioni sensoriali e
psichiche richiedendo una maggiore quantità di
coscienza rispetto ad ambienti dalle ritmicità più cadenzate.
La
città di Firenze presenta peculiari caratteristiche nella sua estensione urbana
e nella forte presenza di tracce che rimandano al rinascimento prima e poi alle
più recenti trasformazioni urbane operate da Giuseppe
Poggi al tempo di Firenze capitale d’Italia. Uno dei rischi di questa città è quello
di rimanere ancorata al suo stereotipo culturale esasperandone la
musealizzazione, il turismo di massa e riducendola ad una convenzionale
cartolina, seppur bella, appiattita nella sua specificità materica.
Analizzare
luoghi topici ma non tipici è lo scopo di questi tracciati/Trackeds, che
vogliono restituirci, sottolineando i nostri movimenti, le nostre
interrelazioni con il tessuto urbano, quella necessaria criticità (come
un’educazione alla bellezza) indispensabile durante i processi di
appropriazione del suolo.
Cercare
di possedere una conoscenza più profonda dello spazio che attraversiamo, ci
permette di capire quanto la città sia un luogo nel quale decifrare le
relazioni sociali che vi sono iscritte, riuscendo a ritrovare se stessi nello
spazio che occupiamo,come descritto da Marc Augè.
La
consapevolezza dello spazio pubblico come proprio e anzi, ancor di più, come
mappatura emotiva di noi stessi, di ciò che siamo, di come viviamo, di come vengono
intessuti i rapporti, non può che generare con-sequenzialmente comportamenti
virtuosi di rinata partecipazione e di volontà attiva. Da bambina alle scuole
elementari, ricordo che il mio compagno di banco aveva l’abitudine di attaccare
la gomma da masticare sotto al banco;la maestra per cercare di scuotere la sua
coscienza era solita ripetergli “Attaccheresti la gomma da masticare anche
sotto il tavolo di casa tua?”
C’è la stessa
diffusa tendenza, tra gli adulti, a considerare il territorio pubblico come
un qualcosa di estraneo, di minor valore, rispetto a quello privato, a cui
pensiamo di essere legati in modo imprescindibile e che perciò difendiamo con
più caparbietà. I bambini imparano, come prima cosa, nei processi
identificativi che ne segnano la crescita a distinguere io/te, mio/tuo. Nel
momento in cui l’uomo si renderà conto di essere abitante della polis e non si sentirà spersonalizzato
da questa definizione ma cercherà di comprenderne le conseguenze sulla propria
individualità percependo il pubblico come suo, potrà agire con nuova attenzione
impedendo a chiunque di depredare o saccheggiare la città come magistralmente
descritto da Dino Risi nel suo lungometraggio “Le mani sulla città”.
Il
lavoro dei BridA, segnalando quegli spostamenti impercettibili ma significativi
che le persone sviluppano all’interno del tessuto urbano in diverse condizioni(auto,
pedoni, moto, biciclette, masse e individui) e riproponendo tale mobilità
secondo codici visivi e sonori legati al mondo dell’arte, permette, in modo inedito e con un
maggior impatto percettivo/sensoriale di osservare dall’esterno e con una nuova
e più obbiettiva presa di coscienza i nostri percorsi quotidiani che ci
permettono di identificare i rispettivi rapporti sociali.
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