IDENTITà VIRTUALI
Seppukoo era il nome
del suicidio rituale compiuto dai samurai per non doversi sottomettere a un
nemico. Seppukoo è diventato anche un sito che ha permesso il "suicidio
digitale" mediante la cancellazione del proprio profilo Facebook.
Il duo di artisti concettuali Les Liens
Invisibles ( gruppo artistico immaginario) operativi dal 2007 all’interno di
pratiche di riappropriazione dei media
nella pop net culture, si confronta con il ruolo dell’individuo all’interno
dell’era digitale e della comunicazione online che annulla ogni forma di
anonimato e di privacy nella commercializzazione dell’immagine pubblica.
Il 5 novembre 2009 si è verificato un primo
suicidio virtuale collettivo utilizzando, come testimonial ,finti profili di
celebri personaggi morti suicidi. Il meccanismo si propaga come le strategie di
viral marketing che connettono globalmente gli utenti ; tale disconnessione o
suicidio individuale diviene un’ esperienza sociale al pari di quella
distrutta.
Assai particolare l’ assonanza che si viene a
creare tra il distrutto e il distruttore, la creazione artistica così come in variegati casi nella storia dell’arte
contemporanea e non solo, ha un suo peculiare inserimento all’interno di quelle
che sono le dinamiche economiche, geopolitiche del mercato multinazionale.
Libertà
di espressione. Provocazione. Presa di coscienza. Utopia.
Non è forse questo l’intento di ogni opera
d’arte?
Il
caso mette in evidenza la nostra costante perdita di identità , il fatto che
nel bene o nel male lasciamo qualcosa di noi stessi, qualcosa di non
riscattabile che si perde e diventa collettivo, mostra le dinamiche della web
culture che nasce con intenti utopici di diffusione a livello estensivo del
maggior numero di informazioni possibili e finisce per chiuderci in una gabbia
ancora più impercettibile quanto più omologata. Facebook in quanto social
network per antonomasia, è solo un facile espediente per realizzare un’ azione
creativa di questo tipo.
Il
duo di artisti italiani in questione sono Clemente Pestelli e Gionatan Quintini
il cui lavoro artistico si basa sulla ricerca dei legami tra l’ infosfera, le
sinapsi neuronali e la vita reale per capire ciò di cui è composta
matericamente e iconograficamente la comunicazione. Tramite la net-art o performing media art,interrogano ,in
una congiunzione creativa tra arte e tecnologia , tutte quelle”fedi” generate
dai social network in un approccio concettuale alla base del quale vi è un
ampio uso di ironia.
Il
loro è uno dei progetti più interessanti e innovativi d’arte e attivismo web
degli ultimi tempi.
Il
processo artistico viene indagato come
processo mentale così come l’attività che avviene in rete; ci si interroga sul
fallimento delle utopie create dal web, la promessa di una libertà informativa,
una controinformazione che fosse esule dalle matrici di coercizione del
consenso a livello mediatico e mentale.
Fake
is fake. Anyway.
Cosa
si può opporre alla realtà totalizzante del mainstream?
Se
non si può ripristinare una verità o realtà –la verità non mi sembra mai vera- (presunzione
di verità)si può però inserire una molteplicità di opinioni e voci sugli
argomenti, ed è questo ciò su cui opera la net-art.
Lev
Manovich definisce la net-arte appunto” la materializzazione dei social
networks sulla comunicazione su internet”.
La net art nella cultura digitale si prefissa
perciò di utilizzare le tecnologie di rete per sovvertire le strategie di
mercato, i meccanismi di comunicazione, le pratiche consumistiche e i paradossi
della politica, le cattedrali dell’arte e quelle dell’entertainment.
Il
web ha cambiato le nostre modalità di ricezione e interazione con una nuova
realtà virtuale trasformando l’utente da semplice fruitore a realizzatore di
contenuti. Ciò sta alla base anche della net-art: open source e fruibilità
globale.
Gli
intenti di questa forma d’arte sono anche quelli di riportare in auge
un’individualità e soggettività che va perdendosi cercando di svelare i
collegamenti che permettono la creazione delle icone dell’immaginario
collettivo; citando les liens invisible
che, riferendosi a Magritte, trovano in esso la chiave di lettura del
loro progetto “affermare che un oggetto è una pipa ci può far sentire umani, ma
affermare che non lo è ci rende liberi”.
Si
è parlato anche di una perdita di spinta
creativa che riguarderebbe tutta la net-art o all’ arte in generale legata ai nuovi media.
A
dispetto delle funeree predizioni essa rimane una disciplina d’avanguardia
estremamente legata alla controcultura, all’attivismo creativo e alla
comunicazione.
Si
tratta perciò di utilizzare le tecnologie di rete per sovvertire le strategie
di mercato senza cadere nel rischio di perpetuarne le logiche costruttive.
Muovendosi
all’interno dell’immaginario di massa viene da chiederci se sia quindi
l’attivismo l’unica strada della net-art per proporre nuove modalità creative e
idee sovversive, dal momento che la promessa che un mondo virtuale trasformasse
quello reale si è solo parzialmente avverata, facendo cortocircuitare la logica
per cui, anche la net art, non si è trasformata in Arte con la A maiuscola.
Alcuni artisti hanno cominciato ad utilizzare
le potenzialità del web che permettevano alle informazioni di fruire
liberamente,capaci di produrre azioni in tempo reale, destabilizzando così i
sistemi che appartengono ai centri d’alimentazione della politica e
dell’economia ,muovendosi su le tematiche più diverse,dalle lacune sociali, ai
sistemi di massa e perfino alle
catastrofi ecologiche, divenendo così da semplici artisti a” uomini d’azione”.
Delle
nuove strategie di net-art non possono che beneficiarne i propri fruitori
ponendo l’attenzione su nuove problematiche ,aprendo gli occhi ad un pubblico
di massa e aumentando le consapevolezze sui poteri individuali.
“This is NOT the end, my only friend.”
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